Anni fa un mio amico mi raccontò la storia di una ragazza che da sola, in moto, aveva viaggiato dalla Terra del Fuoco all’Alaska, e che da questo viaggio ne era uscito un libro. La ragazza si chiama Miriam Orlandi e il suo libro IoParto. L’ho comprato e divorato in pochi giorni. Miriam scrive molto bene, e quelle righe mi sono passate sotto gli occhi con velocità e curiosità, perché ogni parola trasudava amore e passione, paura e coraggio, gratitudine e sconforto, avventura e imprevisti, incontri e consapevolezza e un grande, profondo cambiamento interiore. 

I social se usati bene sono una grande risorsa, e grazie a loro l’ho seguita nei suoi successivi viaggi, prima in Oman poi in Australia e Oceania.
Poco tempo fa sono riuscita ad incontrarla personalmente durante un evento a Sesto san Giovanni, uno degli appuntamenti del Party con Noi di DonneInSella.  Da quell’ incontro è nata questa intervista, che faccio con un piacere enorme. Io e Miriam ci siamo guardate, riconoscendo una lontananza fisica e di esperienza, ma notando (almeno da parte mia) una vicinanza nel desiderio di guardare il mondo.

Miriam, io voglio che questa più che una intervista sia una chiacchierata in cui la sola regola sia essere libere: io di chiedere, tu di raccontare. 

Prima di tutto voglio sapere come è nata in te la passione per la moto. Te lo chiedo per le migliaia di donne che stanno iniziando ora a desiderare di guidarla, quella moto tanto desiderata.

Avevo 7-8 anni e un amico di papà è passato con una Kawasaki Z1000 verde. Ricordo ancora la scritta lucida e l’immancabile linea color oro che decorava il serbatoio. Credo di essermi innamorata, semplicemente innamorata di una moto, punto.

Cosa ti è successo? Cosa ti ha fatto scattare il desiderio di partire? Cosa ha fatto sì che quel pensiero “quasi quasi parto” sia poi diventato “IoParto”? La reazione dei tuoi amici e familiari?

Sinceramente, come dice la parola IoParto, non ci ho pensato molto: ho solo deciso di fare un lungo viaggio Ovviamente temevo che i miei familiari non l’avrebbero presa bene e così a loro ho raccontato che andavo in America a studiare e prendevo la moto con me. È ovvio che non mi hanno creduta. Mamma era orgogliosa, papà aveva paura e mio fratello mi dava della pazza. Per i successivi viaggi è bastato dire ioparto …credo si siano rassegnati. 

Io il tuo libro l’ho letto, ma racconta a chi ancora non lo ha fatto quali sono le maggiori difficoltà che hai incontrato e gli imprevisti.

Le maggiori difficoltà sono state vincere le paure che la mia società mi ha inculcato. Tutte quelle convinzioni sul mondo pericoloso. Come se al di fuori di casa non esistessero nient’altro che lupi mannari. Le problematiche invece sono state i guasti alla moto. In una situazione così puoi decidere di soccombere, soffrire, piangere, scalpitare oppure diventare un bravo meccanico. Io ho scelto quest’ultima opzione. Ora so smontare e rimontare un BMWR100GS con tutta tranquillità.

La solitudine. Sicuramente l’hai provata. Io l’ho cercata tanto negli ultimi tempi. Adoro stare con gli amici e divertirmi, tanto quanto ho imparato ad amare la solitudine, che mai mi fa sentire sola. La tua solitudine come l’hai vissuta?

Adoro la solitudine per due motivi. Il primo è che quando sei solo hai tutto il tempo da dedicare a te stesso: pensieri senza dover dare spiegazioni, tagliarsi le unghie, mangiare un panino con dentro l’impossibile per poi pulirsi la bocca con la manica e ruttare senza che nessuno ti guardi storto, ma anche la libertà di fermarti a fare una fotografia nel bel mezzo del nulla, solo perchè hai visto la tundra e vuoi fare un bel macro oppure dormire dove cavolo ti pare, senza dover decidere con gli altri dove sistemarsi per la notte, soprattutto se dormi in tenda. Il secondo motivo è che, quando sei solo, trovi sempre qualcuno disposto a chiacchierare con te; se viaggi in gruppo, sei un gruppo. Nessun locale ti si avvicina se viaggi in gruppo, invece da solo sei la strana cosa che è arrivata nel loro paese e quindi tutti ti vogliono conoscere (a volte preferiresti di no)

Le cose più belle che ti sei portata a casa, in termini di esperienza e crescita personale?

La fiducia in un perfetto sconosciuto. Dove il perfetto sconosciuto non erano loro mai io. Io che, pur essendo sporca e trasandata, ho sempre trovato sorrisi e porte aperte, ospitalità e generosità.

Quale è stata, se ce ne è stata una sola, la cosa che più di tutte le altre ti ha cambiata in questo viaggio?

Argentina Alaska è stata una grande conquista, ho scoperto di potercela fare, ho scoperto che non è vero che sono una incapace, che non è vero che non è possibile, che non è vero un sacco di cose. Ho scoperto che io sono, punto.

So che il ritorno non è stato facile. Non voglio fare spoiler, ma l’ultima pagina del tuo libro mi ha fatto piangere…e non poco (vabbè, io ho la lacrima facile, chi mi conosce  lo sa 🙂 )

Ogni mio ritorno non è mai facile. Mi sento nata per viaggiare, per continuare a viaggiare, per non fermarmi mai. I legami che mi fanno tornare non sono solo quelli affettivi con la famiglia, ma una sorta di senso del dovere: la necessità di comunicare a tutti quel che ho visto, il desiderio di far viaggiare chi non può. Scrivere un libro è un modo per raccontare a tutti quali sono state le mie esperienze, senza la pretesa di insegnare, anzi io imparo molto quando scrivo il mio libro: ho tutto il tempo di riflettere su cos’è accaduto.

So che hai ricevuto un invito molto particolare in Oman, ce lo racconti?

Ma allora mi spiii   🙂 Ad ottobre 2017 ricevetti una strana mail che mi diceva che ero stata invitata dal Awad bin sheika Mejerin a raccontare a Dubai il mio viaggio. Veniva aggiunto che vitto, alloggio e volo erano a carico dallo sceicco in persona. Ovviamente ho cestinato la mail: credevo fosse un fake.  Poi ho sentito una vocina che mi rammentava di Lois Pryce (un’amica inglese viaggiatrice). La contattai subito e mi confermò che 2 anni prima era stata invitata anche lei. La mail era quindi autentica. Accettai. L’esperienza è stata allucinante, incredibile. Ho avuto l’onore di conoscere un uomo di una bontà estrema, un viaggiatore arabo che crede nei viaggiatori. Lui ritiene che i viaggiatori siano emblema di pace. Il suo intento é di far incontrare i viaggiatori e far loro condividere del tempo piacevole assieme, al fine di ampliare la conoscenza tra popoli e culture completamente lontane.Va da sé che giunta a Dubai decisi di allungare il viaggio e rimasi due mesi girovagando in moto da sola tra Emirati Arabi ed Oman. (14.000 km)

Australia e Oceania. Ti ho seguita sui social e ascoltato il tuo racconto a Milano, ma dicci qualcosa…soprattutto… com’è quel detto sugli animali in Australia?

L’outback, Il deserto Australiano, pur avendolo amato e sognato, era troppo caldo per me. Ho capito che non basta la mia caparbietà, non basta la mia voglia di farcela: ci vuole anche una preparazione tecnica, quando fa così caldo (giubbini refrigeranti, soldi per potersi permettere un hotel con aria condizionata, soldi per pagarsi l’acqua che costava anche 5 euro al litro) o semplicemente bisogna accettare che a dicembre, in Australia,  non è il momento di andare nel deserto poiché è estate e ci sono 47 gradi. Quindi son rimasta sulla costa che è più fresca, ma dopo le spiagge bellissime, piene di surfisti dai fisici scolpiti, ma con un oceano in cui non potevi tuffarti perché c’erano gli squali o le meduse urticanti o i coccodrilli di acqua salata , ero stanca di constatare che il detto australiano, che tutti mi ripetevano, era vero, profondamente vero: “In Australia tutto vuole ucciderti: se si muove sparagli, se non si muove brucialo“. Al quarto serpente in due settimane non ne potevo più. Serpente velenoso o no, non lo volevo nemmeno sapere: ne avevo abbastanza di spaventarmi per ogni sobbalzo di canguro che voleva attraversarmi la strada proprio mentre stavo arrivando in moto. Ne avevo abbastanza di accendere la moto con il dito ed allontanarmi di corsa per esser sicura che nessun serpente si fosse addormentato nel motore. Decisi quindi di passare gennaio e febbraio (i due restanti mesi estivi australiani) in Nuova Zelanda. Lì non c’erano canguri. Non c’erano serpenti, nè coccodrilli, ma forse qualche squalo. Sicuramente però c’era fresco: 32 gradi sono freschi quando son 2 mesi che vivi tra i 42 ed i 47.

Prima ho accennato al ruolo che hanno i social. Anche qui, un po’ ho imparato a conoscerti, ma che rapporto hai con i social? Te lo chiedo perchè ne abbiamo già parlato e so che sono una parte importante nei tuoi viaggi, ma non per il motivo che ci aspetteremmo, cioè solamente per farti pubblicità o ricevere qualcosa. 

I social per me sono il mezzo di contatto con i miei amici in Italia, ma anche con le amicizie che nascono durante i viaggi. I social mi permettono di ricevere il buongiorno dall’Argentina da Stella, di partecipare in video chiamata al compleanno delle gemelline figlie di un amica del Perù. Mi permettono di accogliere gli amici del Costa Rica e portarli a Venezia di notte. Usare i Social per farmi pubblicità ed ottenere quel tanto agognato giubbino che nel Outback mi avrebbe permesso di restare forse 4 giorni in più, mi spiace, ma la prossima volta me lo compero di tasca mia, spendendo i miei €200 e non pubblicizzeró un oggetto solo per averlo gratis o con lo sconto. La mia faccia, la mia credibilità, me stessa valgono molto di più di un prodotto. Posso dispensare consigli a chi me li chiede, ma è un po’ tardi per fare la marchettara, sarebbe stato meglio  farla quando ero giovane, bella e figa, e non ora a 48 anni.

Tu hai visto e capito molte cose. Sei inevitabilmente cambiata, e questo cambiamento sta stretto nella definizione di “mito del viaggiatore”. Lo vogliamo togliere questo mito? Perchè verrebbe spontaneo per molte, lo sai, guardarti con ammirazione.  Al di là del mito, quando ci siamo incontrate, abbiamo parlato di responsabilità: hai vissuto e visto cose che hai voglia di far conoscere, che senti la responsabilità di dire, di condividere, affinché chi ti ascolta diventi più consapevole, ed è in questa dimensione che si colloca la stesura di un tuo eventuale secondo libro, giusto?

Giustissimo. Ritengo che i veri miti siano le persone che sono costrette a fare un lavoro che odiano per mantenere la famiglia. Se posso fare un esempio vorrei citare il mio giovanissimo bisnonno che, in punto di morte, affidò i suoi terreni, sua moglie ed i loro 4 figli al vicino di casa (che aveva 8 figlie) e gli chiese di coltivare la terra e mantenere così le due famiglie (totale 15 persone). Beh, io non sono un mito, il mio bisnonno sì, e pure quel sant’uomo del suo vicino di casa! Ritengo che la condivisione sia parte integrante del viaggio. Oggi c’è una visione fugace di qualsiasi racconto. Bisogna prendersi il tempo di interiorizzarlo, di comprenderlo, di attuarlo ed applicarlo alle nostre riflessioni. Un po’ come il racconto che vi ho appena fatto. Per me scoprire il mondo arabo, oppure il mondo australiano o neozelandese è un’apertura mentale, ma anche e soprattutto a livello del cuore, a livello di quell’anima che ha bisogno di essere nutrita. Un’apertura che vorrei coinvolgesse tutti, non solo me stessa.

Sono passati anni dalla tua prima esperienza. Se ti guardi indietro cosa vedi? Che Miriam vedi? E che Miriam desideri per il futuro?

Vedo una Miriam che ha faticato e sofferto ma che é orgogliosa e fiera di averlo fatto. Per per poter fare questi viaggi dormo in tenda, spesso soffro anche la fame, ma quello che ricevo è immensamente superiore a qualsiasi prezzo avrei potuto pagare in moneta sonante. Sinceramente non desidero nulla: ho la fortuna di avere tutto, anzi, abbiamo la fortuna di avere tutto, ma non ce ne accorgiamo. Sì, dai, diciamocelo, magari una Miriam che si incazza un po’ meno quando vede o legge certe vanità sul mito dei grandi viaggiatori. 

Il tuo più grande progetto per il futuro?

Essere felice. Ma siccome so che vuoi una risposta più concreta ti dico: continuare a viaggiare. Sicuramente il giro del mondo è un sogno che ogni viaggiatore ha nel cassetto o sul comodino ed io, anche se non amo le etichette, sono un viaggiatore ed i miei sogni ce li ho tutti nelle mani.

“Essere felice”, a mio avviso, è una risposta MOLTO concreta! Infine, cara Miriam, c’è qualcosa che non ti ho chiesto e che hai voglia di raccontare?

Più che raccontare voglio dire una cosa. Avere dei miti serve per cercare di raggiungerli. Avere dei miti per procurarsi delle scuse è inutile. Se volete una cosa raggiungetela: chiedete, allenatevi, preparatevi, ma fate quello che volete, fosse anche un maglione di lana fatto a mano, fatelo.

Ringrazio di cuore Miriam per avermi dedicato il suo tempo, anzi per averlo dedicato a me e a tutti voi. Come dice lei, non è un mito, un’icona, e anche io non voglio ridurla a una donna cazzuta da ammirare. Godiamo però dei suoi racconti e prendiamo da essi ciò che più ci può arricchire, questo è il mio augurio per voi lettori… e per me.